PRIMA PARTE
Dimensioni dell’ambiente e risonanze modali
Come dovrebbe essere l’acustica ottimale di un ambiente per l’ascolto di musica?
E c’è una risposta univoca a questa domanda oppure, nell’ambito di un range di possibilità che tengano conto dei parametri acustici fondamentali di riferimento, è possibile intervenire su “condizioni di contorno” che si adattino ai gusti e alle preferenze personali?
Naturalmente viene spontaneo pensare che la seconda impostazione sia quella più adatta ad affrontare l’argomento in questione, in modo simile a ciò che avviene nel campo dei componenti elettronici ed elettroacustici che sono protagonisti della maggioranza dei post pubblicati in questo gruppo. Penso che possa essere utile introdurre dei concetti che chiariscano un po’ le relazioni esistenti tra l’utilizzo di determinate tecniche di correzione acustica degli ambienti per l’ascolto della musica ed i risultati in termini di fruibilità del suono che in essi viene riprodotto, a prescindere dalla tipologia di impianto, che si presume debba rispettare degli standard minimi di qualità.
Per iniziare si potrebbe fare riferimento al primo punto da considerare, cioè a quale ambiente scegliere nel caso di più ambienti disponibili o di una nuova abitazione in cui ci sia la possibilità di intervenire sulla scelta e suddivisione degli stessi, oltre che su eventuali predisposizioni in fase di costruzione. La scelta dovrebbe privilegiare ambienti al piano terra, che non abbiano pareti confinanti con eventuali vicini e/o camere da letto, che siano di dimensioni sufficienti a consentire la propagazione di un ciclo completo almeno di gran parte delle onde sonore di bassa frequenza (ad esempio la lunghezza d’onda di 50 Hz è di mt 6,88) e che non abbiano due o tre dimensioni simili e tali per cui le risonanze naturali dell’ambiente (cosiddette “risonanze modali”) risultino tutte concentrate sulle stesse frequenze e/o molto distanziate le une dalle altre e quindi risulti molto difficile e dispendioso correggere la risposta in frequenza della stanza (quindi che abbiano possibilmente proporzioni tra le tre dimensioni che siano incluse nella cosiddetta “area di Bolt”).
Infatti occorre immaginare ogni ambiente di riproduzione del suono come uno “strumento musicale complessivo” con un proprio timbro, che in misura maggiore o minore modifica il segnale sonoro che esce dagli altoparlanti, per cui l’obiettivo dovrebbe essere di fare in modo che questo “timbro” aiuti la propagazione ottimale del suono e la qualità dell’ascolto anziché peggiorarli, considerando anche il fatto che gli orecchi umani (che sono distanziati circa 17 cm, divisi dalla testa e collegati elettro-chimicamente con diverse aree del cervello) non sono paragonabili alla membrana di uno o più microfoni di misurazione, in qualsiasi configurazione li si voglia considerare ed inoltre che le frequenze basse vengono percepite anche come “vibrazioni” corporee. Quindi, tornando alla scelta dell’ambiente migliore per l’ascolto, sarebbe preferibile uno in cui la tipologia delle sei superfici (pareti, pavimento e soffitto) risulti avere una massa notevole e non risonante, in modo che le basse frequenze presenti al suo interno siano coerenti con la previsione data dalla scelta delle dimensioni più favorevoli ad una loro distribuzione ottimale. Per chiarire meglio il concetto, se scegliamo ad esempio una stanza di mt 3×4,2×5,7 (proporzioni 1:1,4:1,9 – tra le migliori secondo Louden) ma due delle pareti sono perimetrali (di spessore 35-40 cm) e altre due sono divisorie interne (di spessore 12-15 cm), queste ultime non avranno una massa sufficiente a respingere le basse frequenze all’interno dell’ambiente d’ascolto e si comporteranno in parte come un “diaframma vibrante” risonante a determinate frequenze e in parte faranno passare una certa quantità di energia sonora di bassa frequenza all’ambiente confinante, modificando la previsione delle dimensioni ottimali iniziale e creando probabilmente una asimmetria nella distribuzione delle basse frequenze all’interno dell’ambiente d’ascolto, con eventuale prevalenza di esse su uno dei lati. Le risonanze modali di un ambiente sono presenti su ciascuna delle tre dimensioni e si suddividono in assiali, tangenziali ed oblique a seconda che coinvolgano la propagazione del suono tra due, quattro o tutte e sei le superfici. Le più evidenti sono le assiali, il cui suono urta la superficie ad angolo retto e che hanno un picco con livello di +3 dB rispetto al picco delle tangenziali e di +6 dB rispetto a quello delle oblique.
Sono anche le più facili da calcolare in quanto per ottenere le tre fondamentali sui tre assi (lunghezza, larghezza e altezza) basta dividere la metà della velocità del suono (in metri) per ognuna delle tre dimensioni (in metri). Quindi, essendo la velocità del suono a 21° = 344 m/s , la metà è 172 che occorrerà dividere per ognuna delle tre dimensioni. Nell’ esempio di cui sopra della sala di mt 5,7×4,2×3 avremo come risonanze modali fondamentali sui tre assi rispettivamente 30,17 Hz, 40,95 Hz e 57,33 Hz , oltre ai loro multipli, fino ad un range di frequenze che varia da circa 100-150 Hz a circa 300-400 Hz in rapporto al volume dell’ambiente (in metri cubi) ed al tempo medio di decadimento del suono (tempo di riverberazione in secondi) che si ottiene con il trattamento acustico complessivo, per cui si può affermare che più l’ambiente è piccolo e la riverberazione è lunga più saranno numerose le risonanze modali da controllare all’interno dell’ambiente, anche se negli ambienti più piccoli la frequenza fondamentale della prima risonanza modale risulterà più alta rispetto a quella di ambienti più grandi. Le onde sonore con frequenze superiori a 400-500 Hz hanno lunghezze d’onda di dimensioni tali per cui la loro propagazione risulta più simile a quella di raggi luminosi che di vibrazioni “pulsanti”. La loro ottimizzazione acustica implica criteri diversi di intervento rispetto a quelli relativi alle frequenze basse e medio-basse e questo potrebbe essere l’oggetto di un post successivo sull’argomento.
SECONDA PARTE
Le quattro “regioni di frequenze”.
Nella prima parte di questa serie di thread sull’acustica degli ambienti d’ascolto abbiamo affrontato l’argomento delle relazioni esistenti tra le dimensioni di un ambiente e la distribuzione delle risonanze modali di bassa frequenza al suo interno, accennando al fatto che il loro range di frequenze dipende dalle dimensioni dell’ambiente (per stabilire la frequenza fondamentale della risonanza più bassa), dal volume dello stesso (in metri cubi) e dal tempo medio di riverberazione (in secondi), che risulta dopo aver installato l’arredamento ed effettuato l’eventuale trattamento acustico (per stabilire il limite superiore delle frequenze delle risonanze).
Per quanto riguarda invece lo spettro complessivo delle frequenze udibili, poiché le lunghezze d’onda (a 21 gradi di temperatura) variano da 17,2 metri di un onda di 20 Hz a 1,72 cm di un onda di 20 KHz, verificheremo che un solo metodo analitico per l’ottimizzazione della loro propagazione non è sufficiente. Per chiarire meglio questi concetti occorre sapere che in ogni ambiente la propagazione delle onde sonore è suddivisibile in quattro “regioni di frequenze” (che possiamo denominare A,B,C e D), che variano anche in relazione al rapporto tra le lunghezze d’onda e le dimensioni dell’ambiente, come si potrà comprendere dalla descrizione del diagramma allegato.
La regione A (dal limite udibile inferiore fino alla frequenza F1) include le frequenze più basse, al di sotto della fondamentale della prima risonanza modale assiale (relativa alla dimensione maggiore dell’ambiente, cioè 172/L, in cui L sta per lunghezza). In questo range di frequenze non c’è “amplificazione di risonanze” data dalle dimensioni del locale, ma ciò non significa che un suono con tali frequenze in esso non possa esistere. La regione B (da F1 a F2) è costituita dalle frequenze che, avendo dimensioni paragonabili a quelle dell’ambiente, includono le risonanze modali descritte nella prima parte (argomento del post precedente). Il suo limite inferiore è dato dalla frequenza del modo assiale più basso (172/L) mentre quello superiore può essere calcolato approssimativamente moltiplicando 1875 per la radice quadrata del rapporto tra tempo di riverberazione (in secondi) e volume (in metri cubi), come descritto dal diagramma.
Quindi, se la sala d’ascolto scelta come esempio tra quelle di dimensioni ottimali di cui al post precedente (m. 5,7×4,2×3 e volume mc 71,82, con frequenza fondamentale di risonanza assiale 30,17 Hz) risultasse avere un tempo medio di riverberazione (RT60) di 0,4 secondi, il limite superiore del range della zona B sarebbe di 139,92 Hz, per cui potremmo affermare che le risonanze modali del suddetto ambiente sarebbero comprese tra 30,17 e 139,92 Hz (circa). Nel caso in cui il tempo medio di riverberazione di questo stesso ambiente si riducesse a 0,3 secondi, come potrebbe verificarsi, oltre che con un diverso trattamento acustico, anche con la presenza di una o più persone all’interno di esso (in quanto anche noi umani siamo assorbenti!), la frequenza fondamentale della regione B rimarrebbe 30,17 Hz ma il suo limite superiore (e quindi anche il range delle risonanze modali) scenderebbe a circa 121,18 Hz.
Nel caso invece di un tempo medio di riverberazione di 1 secondo (come nel caso di arredamento “minimalista” e/o assenza o scarsezza di trattamento acustico), il suddetto limite superiore del range delle risonanze modali salirebbe a circa 221,24 Hz arrivando quindi in un range frequenze ai limiti delle medio-basse nel quale inizia ad essere più evidente un effetto di “mascheramento” dell’intelligibilità della parte più alta dello spettro sonoro. Infine, per un tempo medio di riverberazione di 2 secondi (come in ambienti quasi o completamente vuoti) tale limite superiore salirebbe addirittura a circa 312,89 Hz. Proseguendo nell’analisi del diagramma allegato troviamo la regione C (da F2 a F3), che è di transizione tra la B, in cui occorre utilizzare la cosiddetta “acustica delle onde” per il controllo delle risonanze modali, e la regione D, nella quale è valida la cosiddetta “acustica dei raggi sonori”, relativa alle “riflessioni speculari”. Nella regione C, che ha come limite superiore una frequenza di circa quattro volte quella calcolata con i vari esempi di cui sopra (nell’esempio con tempo di riverberazione 0,4 secondi andrebbe da 139,92 Hz a 559,68 Hz circa) si verificano fenomeni di diffrazione e diffusione talvolta difficili da gestire acusticamente, che spesso richiedono l’impiego di soluzioni relative ad entrambi i domini di trattamento acustico (“acustica delle onde” e “acustica dei raggi sonori”). Queste considerazioni sulla regione C, unite a quelle sull’estensione della regione B, ci fanno dedurre che la presenza di tempi di riverberazione troppo lunghi all’interno degli ambienti comporta come conseguenza acusticamente problematica l’ampliarsi del range di frequenze delle regioni B e C, e questo fenomeno, correlato alla presenza delle cosiddette “bande critiche” nella percezione uditiva, favorisce il “mascheramento” della parte più alta dello spettro sonoro rendendo l’ascolto più confuso e inintelligibile.
L’ultima regione di frequenze di cui al diagramma allegato è la D (da F3 a F4), che nell’esempio di cui sopra (con volume dell’ambiente di mc 71,82 e tempo medio di riverberazione di 0,4 secondi) inizierebbe a circa 559,68 Hz ed ha come limite superiore il limite delle frequenze udibili. In essa dominano le “riflessioni speculari”, che possono essere trattate con l’assorbimento, la diffusione o lasciate libere di propagarsi, ma a certe condizioni, come potremmo approfondire in una “puntata” successiva di questo percorso nei “segreti” dell’acustica degli ambienti d’ascolto.
TERZA PARTE
Ampiezza di banda di ogni risonanza modale e attendibilità del calcolo della “regione di frequenze” “C” – Riflessioni speculari.
Nella seconda parte di questa serie di thread sull’acustica degli ambienti d’ascolto abbiamo affrontato l’argomento delle quattro “regioni di frequenze” e, a questo proposito, prima di procedere ad approfondire la regione “D” caratterizzata dalle “riflessioni speculari”, vorrei chiarire due punti, di cui il primo relativo alla larghezza di banda di ogni singola risonanza modale ed il secondo riguardante l’attendibilità della formula che consente di individuare la frequenza F2, da cui inizia la regione “C”, e di conseguenza l’ ampiezza di quest’ultima ed il suo limite superiore F3 (che corrisponde ad una frequenza quadrupla rispetto al limite inferiore, cioè rispetto ad F2). In relazione alla larghezza di banda di ogni singola risonanza modale (che viene considerata tra le frequenze a -3dB rispetto al picco), occorre sapere che essa, nel caso di un tempo medio di riverberazione di 2,2 secondi alle basse frequenze, corrisponde ad 1 Hz, e diventa proporzionalmente più ampia con tempi di riverberazione inferiori, per cui ad esempio con un tempo di riverberazione di 0,55 secondi, avrà un’ampiezza di 2,2:0,55=4 Hz, la qual cosa risulta acusticamente più favorevole, in quanto da un lato distribuisce l’energia delle risonanze in modo più omogeneo, colmando almeno parzialmente i “le zone con basse frequenze non risonanti tra le varie risonanze dell’ambiente”, e dall’altro riduce la presenza di “singole frequenze risonanti” che risultano più evidenti e fastidiose (anche perché aventi un tempo più lungo di decadimento). Il concetto è che, dalla combinazione di dimensioni ottimali dell’ambiente (che consentono di evitare sia la concentrazione di più risonanze alle stesse frequenze che l’eccessiva distanza tra le frequenze delle diverse risonanze) e riduzione del tempo medio di riverberazione (che consente di allargare la banda di ogni singola risonanza, attenuando di conseguenza l’energia sonora che altrimenti si concentrerebbe su una singola frequenza) si riescano a colmare i “vuoti di frequenze basse non risonanti” e quindi ottenere una distribuzione più omogenea dell’energia sonora di bassa frequenza, evitando che sia tutta concentrata su poche frequenze risonanti che decadono lentamente. Per quanto riguarda invece l’attendibilità del calcolo del limite superiore delle risonanze modali (frequenza F2), e di conseguenza del limite inferiore e dell’ampiezza della regione “C”, caratterizzata da fenomeni di diffrazione e diffusione talvolta difficili da gestire acusticamente, (formula : 1875 per radice quadrata del rapporto tra tempo di riverberazione in secondi e volume dell’ambiente in metri cubi di cui al post precedente), occorre chiarire che essa sarà tanto più attendibile quanto minori saranno le differenze tra i tempi di riverberazione (RT60) alle diverse frequenze, anche se si considera fisiologico ed ottimale un incremento di riverberazione progressivo di circa il 30% al di sotto dei 200 Hz.
Quindi, la riduzione di variazioni evidenti nei tempi di decadimento del suono alle diverse frequenze rende più attendibile il calcolo della regione “C” e più efficace il trattamento acustico specifico per ciascun ambiente. Ritornando all’esempio dell’ambiente di metri 3×4,2×5,7 (ratio 1:1,4:1,9) di cui alle “puntate” precedenti, un tempo medio di riverberazione di 0,4 secondi al di sopra dei 200 Hz sarebbe abbinato in modo ottimale con un tempo di riverberazione che si incrementasse progressivamente al di sotto dei 200 Hz fino a circa 0,55 secondi a 30-40 Hz. Infine la regione “D”, che include le frequenze udibili più elevate, a partire dalla frequenza F3, presenta lunghezze d’onda alle quali si applicano le regole dell’acustica geometrica e delle cosiddette “riflessioni speculari”, per le quali l’angolo di incidenza del suono (su una superficie piana rigida) è uguale all’angolo di riflessione. Una prima considerazione sulle riflessioni speculari è che l’effetto della loro percezione dipende dalle dimensioni del locale ed è diverso in una sala d’ascolto rispetto ad una sala da concerti o ad un auditorium. Infatti, rispetto al suono diretto della sorgente sonora, se le prime riflessioni speculari arrivano al punto d’ascolto con un ritardo inferiore ai 10-12 millisecondi (cioè con una “differenza di percorso” inferiore a 3,44-4,13 metri) si creeranno sommatorie e annullamenti di fase periodici a determinate frequenze, conosciuti con il nome di “effetto pettine” proprio per la forma caratteristica del diagramma che le rappresenta, la qual cosa rende l’ascolto confuso ed estremamente variabile da un punto all’altro dell’ambiente, anche con piccoli spostamenti del punto d’ascolto, in quanto, cambiando anche di poco le differenze di percorso tra suono diretto e primo suono riflesso, cambiano di conseguenza anche le frequenze delle sommatorie e degli annullamenti di fase.
QUARTA PARTE
Limiti di efficacia dell’equalizzazione – Bande critiche dell’orecchio – Dispersione aperiodica del suono (Diffusione e Scattering) – Tipologie e caratteristiche dei dispositivi acustici per la diffusione del suono.
Nella terza parte di questa serie di thread sull’acustica degli ambienti d’ascolto, oltre ad approfondire le caratteristiche delle risonanze modali di bassa frequenza dipendenti dalle dimensioni dell’ambiente, abbiamo chiarito come le onde sonore con frequenze medio-alte ed alte, a partire da un range che dipende dal tempo medio di decadimento del suono (tempo di riverberazione), possano essere considerate come “raggi sonori” che, incidendo sulle superfici (di solito) piane e rigide dell’ambiente (pareti, soffitto e pavimento), “rimbalzano” con un angolo di riflessione uguale e complementare all’angolo di incidenza del suono proveniente dalla sorgente sonora, creando le cosiddette “riflessioni speculari”, laddove le onde di bassa frequenza si comportano come “sfere pulsanti” omnidirezionali. Poiché dalla sovrapposizione di un’onda diretta e della stessa onda riflessa da una superficie rigida (e quindi ritardata rispetto all’onda diretta) si creano effetti acusticamente deleteri (cioè di “sottrazione di energia sonora” e non linearità di risposta) quando la “differenza di percorso” supera un quarto di lunghezza d’onda, cioè 90° (come da immagine 01 allegata, che si riferisce a 500 Hz), una prima considerazione che possiamo dedurre da questo fenomeno è che l’equalizzazione della risposta in frequenza di un ambiente (o l’utilizzo di software per la correzione della risposta in frequenza), al di là di ulteriori complicazioni che esulano dall’argomento di questo articolo, può essere utile soltanto per correggere parzialmente alcuni problemi alle frequenze più basse (e purché non si pretenda di correggerne molte), in quanto le maggiori lunghezze d’onda (ad esempio la lunghezza dei 100 Hz è di 3,44 metri) consentono di creare un’area di “sweet spot” (ascolto ottimale) che includa “differenze di percorso” tra suono diretto e suono riflesso fino ad un quarto di lunghezza d’onda (nel caso dei 100 Hz fino a 86 cm), per cui è possibile ascoltare almeno in due persone o spostarsi di alcuni centimetri dallo “sweet spot” (nel quale si è effettuata la misurazione e correzione della determinata frequenza in eccesso) senza che la sovrapposizione tra suono diretto e suono riflesso superi il quarto d’onda e quindi diventi acusticamente deleteria rispetto a quanto si è corretto con l’equalizzazione (in quanto sottrae energia sonora perché in contro-fase).
Infatti, se un equalizzatore (o un software), invece di correggere i 100 Hz correggesse in un punto d’ascolto l’eccesso dei 1000 Hz (la cui lunghezza d’onda è di 34,4 cm), lo “sweet spot” avrebbe un’ampiezza corrispondente a soli 8,6 cm di “differenza di percorso tra suono diretto e suono riflesso” (corrispondenti ad un quarto di lunghezza d’onda), dopo di che inizierebbe l’effetto sottrattivo di energia sonora della contro-fase che, considerando in un ascolto “di larga banda” anche le frequenze multiple della fondamentale in questione (nel nostro esempio 1000 Hz), produrrebbe il cosiddetto “effetto pettine”, che consiste appunto in una serie di sommatorie (a frequenze multiple pari) e annullamenti di fase (a frequenze multiple dispari) periodici, dipendenti dalla posizione del punto d’ascolto in relazione ai punti delle riflessioni speculari. Da ciò si deduce che, per quanto ci siano in commercio numerosi software di correzione acustica automatica della risposta in frequenza degli ambienti (spesso forniti insieme all’impianto audio), la loro efficacia risulti quasi sempre limitata ad una parziale correzione dell’eccesso di alcune risonanze modali più evidenti (in ambienti dalle dimensioni acusticamente accettabili) ma essi non possano essere acusticamente attendibili per la correzione anche alle frequenze più alte dello spettro sonoro, aventi lunghezze d’onda inferiori e quindi maggiormente suscettibili di creare sommatorie ed annullamenti di fase ad un minimo spostamento del punto d’ascolto dallo “sweet spot” nel quale si é posizionato il microfono per effettuare la misurazione e la correzione. Dopo aver chiarito questo punto, possiamo approfondire il fenomeno delle cosiddette “bande critiche” che si creano nella percezione dei suoni all’interno dell’orecchio. Come si deduce dall’ immagine allegata (02) dell’orecchio interno (semplificata, in quanto descrive bidimensionalmente un organo tridimensionale), e dalla foto di una cellula ciliata (immagine 03), la nostra percezione dei suoni deriva dall’eccitazione di piccolissime ciglia presenti sulla cosiddetta “membrana basilare”, denominate cellule ciliate, da parte di un fluido presente all’interno della coclea, in base alle frequenze alle quali viene sollecitato il timpano (e di conseguenza i tre piccoli ossicini martello, incudine e staffa). Il sistema è tale per cui le frequenze basse sollecitano il movimento delle cellule ciliate più lontane dal timpano, mentre le frequenze più acute sollecitano quelle più vicine ad esso ed infine il movimento delle cellule specifiche per ciascuna banda di frequenze invia impulsi elettro-chimici alle aree del cervello deputate alla decodifica dei suoni.
In questo complesso meccanismo, le cellule ciliate che vengono sollecitate da un’onda sonora ad una determinata
frequenza, hanno difficoltà a percepire altre onde simultanee con frequenze molto vicine a quella, per cui l’onda (tra le due) che è di poco più forte dell’altra, “nasconde” notevolmente la percezione dell’onda più debole, con un effetto di “mascheramento”. La larghezza di banda entro la quale avviene questo fenomeno varia da circa 1/2 di ottava al di sotto dei 200 Hz a circa 1/6 di ottava al di sopra dei 1000 Hz, e da ciò deriva il concetto delle “bande critiche”, che possono essere definite come una serie continua di “filtri passa banda che ricoprono tutto lo spettro uditivo e sono centrati intorno a qualsiasi frequenza”. L’esistenza delle bande critiche può essere messa in relazione al “livello di intensità sonora percepita” di un brano musicale rispetto al livello di intensità (o di pressione sonora) rilevata da un microfono, nella misura in cui un buon arrangiamento tende ad evitare la presenza simultanea di note le cui frequenze fondamentali siano all’interno di una stessa banda critica, in modo da ottenere un alto livello di intensità sonora percepita a parità di livello di pressione sonora misurata, e quindi brani musicali più efficaci, coinvolgenti ed intelligibili. Inoltre, come descritto nell’articolo precedente, è proprio la larghezza della banda critica alle frequenze alle quali l’orecchio è più sensibile (tra circa 500 Hz e circa 4 KHz) che non gli consente di analizzare (e quindi percepire) l’effetto pettine in presenza di ritardi superiori ai 12-15 millisecondi tra suono diretto e prima riflessione speculare, la qual cosa conferma il fatto che in ambienti d’ascolto domestici non trattati di dimensioni medie e piccole questo effetto sia più percepibile.
Per ovviare al fenomeno della presenza di riflessioni speculari e per ottimizzare la scena sonora virtuale riprodotta da impianti stereofonici (ed in seguito anche multicanale), verso l’inizio degli anni ’80 è iniziata ad affermarsi una “filosofia” di progettazione degli ambienti professionali per l’ascolto musicale (che in seguito è stata suggerita anche in ambito audiofilo) che prevede una combinazione di assorbimento delle risonanze modali negli angoli mediante dispositivi acustici con dissipazione dell’energia sonora di tipo diaframmatico (cosiddette “superfici ibride” o “diffusori/assorbitori” di Angus, forati con schema a modulo aperiodico), assorbimento delle prime riflessioni speculari su pareti e soffitto mediante materiali porosi (melammina, poliuretano, fibra di poliestere ecc…) e dispersione delle medie e alte frequenze residue (immagine 04) mediante diffusori a reticolo di diffrazione (anche denominati “a reticolo di fase”), quali i cosiddetti “diffusori di Schroeder”, unidimensionali, con cavità verticali “a greca”, o bidimensionali, con “pozzi” a forma di parallelepipedo di diverse profondità, in base a diversi schemi matematici (denominati “moduli”, immagini da 07 a 14).
Per quanto riguarda più specificamente la funzione acustica dei diffusori di Schroeder, negli ambienti di produzione e riproduzione del suono, in sintesi si può affermare che, partendo da studi relativi alla diffrazione della luce, è stato verificato che delle scanalature, sia di tipo “a greca” (unidimensionali) che “a pozzi” (bidimensionali) con profondità che seguono determinate formule matematiche (a resto quadratico, a radice primitiva ecc…), con modulo alto (molte profondità diverse), e che non si ripetono troppo periodicamente (per evitare la creazione di “lobi di frequenze diffuse prevalenti” e quindi un ascolto solo apparentemente bilanciato), determinano l’ottimizzazione della spazialità (ampiezza della scena sonora) e dell’immagine sonora (la dimensione che assume ogni strumento nel panorama stereofonico o multicanale). Ciò avviene in quanto un ascolto bilanciato in più punti dell’ambiente si ottiene soltanto in presenza del cosiddetto “campo diffuso”, caratterizzato da una casualità di propagazione e una distribuzione omogenea dell’energia sonora, in un’ampia banda di frequenze, che includa possibilmente anche le frequenze medio-basse dai 150-200 Hz in su, o almeno le frequenze medie e medio-alte, da 500 Hz a 3-4 Khz circa.
Inoltre, il suono diffuso dovrebbe arrivare al punto di ripresa (microfono) o d’ascolto con un ritardo di almeno 12-15 ms rispetto all’ arrivo del suono diretto, così da rafforzarne l’energia conservandone l’intelligibilità, invece di creare sommatorie e annullamenti di fase tra suono diretto e suono riflesso (o diffuso), la qual cosa si verifica in modo molto evidente con superfici piane rigide posizionate a breve distanza dal punto di ripresa o d’ascolto. Anche la tipologia dei materiali utilizzati per la realizzazione dei diffusori è importante, per ottenere un suono bilanciato armonicamente alle diverse frequenze, come lo è nella realizzazione degli strumenti musicali acustici di qualità. I diffusori di Schroeder hanno la funzione ulteriore di incrementare lo spazio acustico degli ambienti in cui sono installati, in quanto la superficie complessiva riflettente-diffusiva è da quattro a sette volte maggiore di quella di un pannello piano rigido, in quanto occorre calcolare tutte le superfici dei separatori (nei diffusori unidimensionali) e delle facce dei parallelepipedi (nei diffusori bidimensionali).
Considerando inoltre che il coefficiente di assorbimento medio di un legno di media densità è di circa 0,1 su un’ampia banda di frequenze, e che le onde sonore irradiate dai diffusori sono “rimbalzate” sulle superfici interne dei separatori (o dei parallelepipedi), ne deriva anche un coefficiente di assorbimento medio tra 0,2 e 0,3 che risulta più naturale ed omogeneo di quello che si ottiene con l’utilizzo esclusivo di materiali porosi (fibre
sintetiche o naturali). Infine c’è da ricordare che i diffusori a reticolo di diffrazione (di Schroeder), a differenza dei diffusori-assorbitori forati a reticolo d’ampiezza a schema binario (di Angus), producono anche un ritardo nel tempo di arrivo delle onde diffuse dalle diverse profondità delle cavità, oltre alla dispersione spaziale, la qual cosa contribuisce ulteriormente alla distribuzione aperiodica delle onde sonore nell’ambiente (immagine 05). D’altronde i diffusori-assorbitori di Angus forati (piani o curvi) presentano caratteristiche di notevole assorbimento per dissipazione di tipo “diaframmatico” a frequenze inferiori ai 400 Hz e di diffusione sopra i 400 Hz, il che risulta molto utile per assorbire l’ eccesso di risonanze modali negli angoli (o sulle superfici) degli ambienti, senza assorbire anche le frequenze medio-alte, come avviene con l’utilizzo di materiali porosi, e creando una zona di suono diffuso (anche negli angoli o nelle altre zone in cui sono utilizzati). Per eliminare anche in questo caso gli effetti acusticamente deleteri derivanti dall’utilizzo di molti dispositivi forati con lo stesso schema (creazione di “lobi di frequenze diffuse prevalenti”) si utilizza una sequenza “pseudo-casuale” modulata, che alterna pannelli (piani o curvi) forati in modo complementare positivo-negativo, nel senso che ai punti in cui ci sono i fori del modulo positivo corrispondono le parti piene del modulo negativo (e viceversa), come da foto dei dispositivi allegata (14), e questa tipologia di assemblaggio comporta un miglioramento evidente del diagramma polare di risposta dei suddetti dispositivi “modulati” rispetto all’utilizzo di un unico schema di foratura (immagine 06).
07 – Diffusore di Schroeder unidimensionale
08 – Diffusore di Schroeder bidimensionale a radice primitiva modulo 157 modello Sky Wood, con schema asimmetrico costituito da 156 parallelepipedi con base leggermente rettangolare di 156 altezze millimetriche diverse, per una completa eliminazione di “lobi di frequenze diffuse prevalenti”, che si creano con dispositivi simili ma con poche altezze diverse, (come tutti quelli in legno massello presenti sul web e nei filmati su youtube). Unico nel suo genere, riproduce effettivamente lo schema dello skyline in polistirene dell’azienda RPG, che non corrisponde a quanto erroneamente affermato nei suddetti filmati. Realizzato in tiglio massello acustico scelto. Con perimetro di velcro sul retro per installazione a parete senza viti, o con fori “ciechi” anteriori per installazione al soffitto. Con diversi schemi di rotazione dei dispositivi in relazione al numero di pezzi, per una completa dispersione aperiodica delle onde sonore.
Range di diffusione : 300 – 3600 Hz
Peso : kg 19
Dimensioni : cm 60 x 60 x 17
09 – Diffusore di Schroeder bidimensionale a radice primitiva modulo 157 modello Sky Wood – dettaglio
10 – Sala ripresa – 8 Sky Wood – 10 Binario Harmony Wood (finitura naturale e rivestiti con tessuto acustico)
11 – Sala d’ascolto – parete posteriore – 4 Sky Wood
12 – Diffusore/Assorbitore a superficie ibrida curvo forato a reticolo d’ampiezza modulo 10 modello Binario Harmony Wood Natural Standard – a moduli complementari (positivo/negativo) 512+511 fori – modulo negativo – betulla chiara baltica scelta – poliuretano sagomato interno + Sistema VelcroFixPro sul retro per ancoraggio – Range di diffusione : 400 Hz – 10 KHz – Range di assorbimento : 50 – 400 Hz – Dimensioni : cm 60 x 60 x 14 – Peso : kg 4,5
13 – Diffusore/Assorbitore a superficie ibrida curvo forato a reticolo d’ampiezza modulo 10 modello Binario Harmony Wood TB Standard – a moduli complementari (positivo/negativo) 512+511 fori – modulo negativo – betulla chiara baltica scelta rivestita con tessuto acustico nero – poliuretano sagomato interno + Sistema VelcroFixPro sul retro per ancoraggio – Range di diffusione : 400 Hz – 10 KHz – Range di assorbimento : 50 – 400 Hz – Dimensioni : cm 60 x 60 x 14 – Peso : kg 4,5
14 – Big Acoustic Flower con 6 Binario Harmony Wood e 3 Binario Flat Wood
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